Saigon, vent’anni dopo.
Mi piace? Non so.
Sicuramente non è un luogo che rientra tra le mete “imperdibili” nell’immaginario comune. Nessun Tempio, Museo, Parco, Strada indimenticabili. Nessun panorama o ragnatele di strade e palazzi ideati dalla mente di qualche architetto geniale…
Eppure Saigon (sì, scusate io la chiamo così per memoria storica, e non per velleità colonialistiche, né per avversione all’attuale governo...) ha un fascino particolare.
Ha il fascino nascosto che pone le sue radici nel passato coloniale francese; nel suo passato di divisione tra nord e sud; tra “buoni” e “cattivi”.
Mi ricorda capolavori della letteratura (e cinematografia) francese del secolo scorso, primo tra tutti “L’amante" di JJ Annaud e un mondo ormai scomparso.
Non si può capire una città del sud-est asiatico se non si assapora il caos, il traffico immergendosi in esso.
Un viaggio in Vietnam è un caos perenne senza soluzione di continuità, durante l’intero corso della giornata. Semplicemente rallenta (ma solo un poco!) durante le primissime ore del mattino, per riprendere subito dopo con la stessa intensità.
È una vitalità differente da altri luoghi del mondo. Non è la movida di Ibiza o la frenesia di Tokyo.
È la vita, quella quotidiana di milioni di persone, molto spesso impegnata in lavori umili o al di sotto di quella che viene comunemente considerata “la soglia minima” prima di essere in povertà.
La demarcazione tra lavoro e “casa” (intesa come rifugio) è delimitata molte volte alla bancarella da cui si ricava il sostentamento per la propria famiglia, dietro alla quale ci si stende per riposare, si mangia e si trascorre il tempo.
È la vitalità di luoghi (a onor del vero comune a tanti altri) in cui prima dell’alba si è già per strada verso un’altra giornata di lavoro e di speranza.
È la vitalità di migliaia e migliaia di motorini e biciclette - tante quante non riesci a contarli – che si susseguono senza fine, ovunque.
È l’angoscia che non ti abbandona più quando vedi un piccolo bimbo coricato per terra da solo su un cartone a dormire avvolto solo dalla notte che lo circonda. E speri che intorno ci sia la sua mamma o il suo papà a vegliare su di lui, perché l’amore di una madre o di un padre non è proporzionale alla ricchezza.
Ti chiedi cosa potresti fare per lui prima di renderti conto che sei assolutamente impotente; e pensi a come per tutti gli esseri viventi a volte la vita è solo una questione di fortuna.